Dagli inizi in teatro al successo delle fiction tv in cui ha interpretato spesso personaggi di grande umanità. Sebastiano Somma si racconta
“Guardi, possiamo incontrarci domani. Ma lei mi conosce di persona?”. Non capita tutti i giorni di dover intervistare un personaggio del mondo dello spettacolo che, sebbene abbastanza noto, pensa di non essere riconosciuto a vista. In un ambiente così particolare popolato da letterine, tronisti e personaggi equivoci dove il divismo impera, vuol dire che ancora c’è qualcuno capace di restare con i piedi per terra. Lui è Sebastiano Somma, di professione attore.
“Guardi, possiamo incontrarci domani. Ma lei mi conosce di persona?”. Non capita tutti i giorni di dover intervistare un personaggio del mondo dello spettacolo che, sebbene abbastanza noto, pensa di non essere riconosciuto a vista. In un ambiente così particolare popolato da letterine, tronisti e personaggi equivoci dove il divismo impera, vuol dire che ancora c’è qualcuno capace di restare con i piedi per terra. Lui è Sebastiano Somma, di professione attore.
Avvocato, magistrato, primario, giornalista d’assalto e poliziotto. C’è qualcuno di questi personaggi a cui è particolarmente legato?
Non perché sto facendo un’intervista con la rivista della polizia, ma sicuramente chi più mi è rimasto dentro è Giovanni Palatucci (in Senza confini, ndr), soprattutto perché è un personaggio realmente esistito, complesso, affascinante e pieno di valori che, in questo momento, purtroppo latitano. L’interpretare una figura così elevata non poteva che rimanermi dentro come attore, ma soprattutto come uomo. Non è da tutti il mettere a repentaglio la propria vita per cercare di fare, per usare le sue parole, “un po’ di bene”; che corrispondeva a salvare più di cinquemila esseri umani dalla furia nazista, per poi finire la propria vita in un campo di concentramento! Ho conosciuto la figura di Palatucci e i suoi familiari e questo mi ha fatto riflettere tanto su ciò che accadeva in quegli anni; sui soprusi, le angherie e il male che hanno subito quelle persone. Ma anche altri personaggi hanno lasciato un forte segno in me, come padre Serani in Madre Teresa di Calcutta. È stata un’esperienza molto forte; ho passato quasi due mesi in Sri Lanka entrando in contatto con un modo di vivere completamente diverso da quello di noi occidentali. Palatucci è però quello che mi ha emozionato più di tutti, anche perché, grazie alle ricerche che ho fatto prima di interpretarlo, posso dire di conoscerlo a fondo. E penso che questo sia “arrivato” alla gente, tanto che a Pasqua, insieme a una delegazione della Rai, sono stato invitato dalla comunità ebraica italiana ed internazionale a Gerusalemme dove verrà proiettato Senza confini. Una bella soddisfazione.
Ha sempre interpretato ruoli positivi. Non le piacerebbe ogni tanto cambiare e vestire i panni un personaggio perfido?
Questo è successo soprattutto negli ultimi anni in cui questi ruoli hanno ricoperto una particolare importanza nella mia carriera, anche grazie ad una fisicità rassicurante, che mi è servita a dare una certa umanità a personaggi che nella società hanno un ruolo di rilievo e che, di solito, non sono particolarmente simpatici. Comunque nel passato è accaduto anche a me di incarnare figure particolarmente cattive. Nel 1982 in uno sceneggiato che si intitolava Il boss per la regia di Silverio Blasi, facevo la parte di un killer che dopo aver violentato una contessa uccideva un magistrato. Sicuramente un Sebastiano Somma molto diverso dall’attuale!
Sebbene vivada molti anni a Roma, lei è nato a Castellammare di Stabia. Quanto è ancora legato alla sua terra d’origine?
Molto, le devo tutto. Mi ha dato l’amore verso la vita e gli altri, e la capacità di adattarmi ad ogni situazione. Vedo che la mia terra è piena di problemi ma penso che negli ultimi tempi si stiano risvegliando le coscienze di chi ci vive. La gente sta iniziando a urlare per difendere i propri diritti. Nel Sud siamo sempre stati un po’ dimenticati, forse anche per una certa nostra pigrizia di fondo nel lasciar fare agli altri. Questi cosiddetti “altri” hanno sempre fatto il buono ed il cattivo tempo, facendo i propri interessi cercando di far crescere il proprio orticello, dimenticandosi della gente. È ovvio che in alcuni casi, come quello dei rifiuti a Napoli, ci sia qualcuno che ecceda a sproposito prendendosela con chi, come voi poliziotti, non c’entra niente. Io sono profondamente convinto che le regole vadano rispettate da tutti e credo che il degrato inizi non rispettandole. Dal nostro essere incivili a casa nostra e civilissimi appena si va all’estero. Non capisco perché dobbiamo distruggere il nostro Paese e attaccare chi fa il vostro mestiere.
Mi sembra di capire che lei ha un buon rapporto con la nostra Istituzione. Cosa ci chiederebbe in più?
Io ho un grande rispetto e amore per tutte le forze dell’ordine. Qualche anno fa avevate lanciato un bellissimo messaggio: Vicini alla gente. Penso che questo non sia stato ancora del tutto realizzato. Occorre fare un ulteriore passo avanti per far avvicinare le persone, per guadagnarsi da queste un rispetto ancora maggiore di quello che in fondo, sono sicuro, hanno per voi.
Negli ultimi anni la televisione si è dedicata particolarmente alle forze dell’ordine producendo numerose fiction. Pensa sia un buon mezzo per avvicinare la gente al nostro mondo?
No. Penso che la gente sappia perfettamente la differenza tra finzione e realtà; se la sera vedono un film, la mattina successiva lo hanno già dimenticato, perché si ha a che fare con i problemi del quotidiano. Queste fiction sono viste con interesse perché spesso raccontano fatti realmente accaduti, ma sono pur sempre un’evasione.
Esiste ancora una certa forma di snobismo da parte degli attori del cinema nei confronti di chi interpreta fiction?
Il nostro è un Paese molto particolare (...e dall’espressione del viso si può cogliere un netto “sì” alla domanda, ndr). L’arte secondo me è una cosa bellissima, seria e, soprattutto, universale... o almeno dovrebbe! Si potrebbe parlare ore di questo argomento, ma, in poche parole, bisogna avere tanta fortuna; anche per riuscire a barcamenarsi tra continue difficoltà. Le discriminazioni ci sono a tutti i livelli, anche nel nostro ambiente e io le ho vissute sulla mia pelle. Ho iniziato ad avere successo dopo i 37 anni, dopo tanta gavetta e tante porte in faccia. Anche ultimamente un regista importante mi ha detto: “Lei mi piace molto, ma perché fa la televisione?”. Gli ho risposto che lui mi aveva chiamato proprio perché io sono diventato un personaggio conosciuto grazie a quella televisione che lui tanto disprezza. Questo negli Stati Uniti non succede. Un esempio su tutti? Pensate a George Clooney, il suo successo lo deve a E.R., che se non sbaglio è una serie televisiva.
Bisognerebbe andare all’estero?
Ci sono andato nel 1990. Sono stato un anno a Los Angeles, ho avuto anche delle ottime chance; un produttore mi disse che avevo un “great look” (un look interessante, ndr). Ma io sono molto legato alle mie origini, alla mia Italia, alla mia gente. E tutto questo mi manca quando vado all’estero. Però mi piacerebbe molto riuscire a fare qualcosa qui ed uscire all’estero con un prodotto italiano. Non si sa mai.
Il mondo della tv è spietato. L’Auditel decide, indipendentemente dalla qualità del programma, se quest’ultimo deve continuare ad andare in onda o meno. Come si sente un artista in questi casi?
Mi è successo con una serie andata in onda su Canale 5 (Nati ieri, ndr) dove interpretavo il primario di un reparto maternità. La fiction, sebbene avesse avuto un ottimo riscontro di pubblico, ebbe due battute d’arresto a causa della programmazione; per due volte andò in giorni diversi disorientando i telespettatori e determinandone la sospensione. Ma questo non capita solo in televisione. Ci sono alcune film per il cinema che vengono girati e poi non mettono mai piede nelle sale! Ho fatto un film tre anni fa, tra l’altro finanziato dai fondi di garanzia (fondi pubblici, ndr), sui quali non c’è alcun controllo, che, per problemi sorti tra i produttori, è da tempo fermo in fase di postproduzione; e non so se mai uscirà nelle sale. Ultimamente è tornato al suo primo amore, il teatro.
In autunno interpreterò, insieme a Brigitta Boccoli, Sunshine, un testo di Giorgio Albertazzi prodotto da Sabrina Ferilli. È una storia abbastanza forte di una spogliarellista che si rifugia a casa di un uomo in crisi esistenziale. Una bella avventura, un ritorno al teatro impegnato d’autore drammatico, ma allo stesso tempo anche leggero, perché c’è anche molta commedia. A febbraio sono a Napoli con uno spettacolo intitolato Io, Eduardo, un omaggio al grande autore partenopeo.
Cosa fa quando non è sul set?
Viaggio, faccio un po’ di sport, gioco a calcio con la nazionale degli attori e, soprattutto, cerco di passare più tempo possibile in famiglia con mia moglie Morgana e mia figlia Cartisia (stessi occhi azzurri del papà, ndr) che ha poco più di due anni e per la quale, anche se sono diventato papà a 45 anni, impazzisco letteralmente.
di Cristiano Morabito
tratto da http://www.poliziadistato.it/
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