di MARCO DEMARCO
È di Gaetano Quagliariello, su Il Foglio di ieri, l’analisi più lucida fin qui prodotta sul perché il centrodestra non dovrebbe lasciarsi sedurre dalla prospettiva di un partito del Sud. Il meridionalismo, dice il vicecapogruppo del Pdl al Senato, è stato un lungo confrontarsi tra autonomisti e unitari. I primi, sono stati spesso vittime del localismo, della diversità meridionale, della retorica della napoletanità o della sicilianità. E anche quando hanno dato vita a movimenti politici forti, l’hanno fatto comunque sotto il segno di una erronea convinzione: quella di una presunta superiorità del Sud. I secondi, gli unitari, si sono mossi invece da un’idea del tutto diversa: proprio la debolezza del Sud li convinceva che non poteva esserci futuro al di fuori dello Stato unitario, lontani da una solidarietà della nazione. «Gli interpreti del miglior meridionalismo — scrive Quagliariello — mai hanno creduto alla favola bella di un Sud civilizzato e autosufficiente».
Così è stato per il meridionalismo conservatore di Turiello, Fortunato e Croce; per quello rivoluzionario di Gramsci; e per quello democratico di Gaetano Salvemini. È così è stato in tempi più recenti per il meridionalismo liberale di Chinchino Compagna e di quello comunista di Gerardo Chiaromonte. Ora, prosegue Quagliariello, è proprio dalla sinistra meridionale che vengono le nuove spinte autonomiste: dal pensiero meridiano di Franco Cassano, alla «decrescita» di Piero Bevilacqua; dal partito personale di Mauro Calise, al bassolinismo inteso come sistema di potere incapace di proiettarsi come modello nazionale e non a caso naufragato sugli scogli dell’emergenza rifiuti. Da qui l’autocritica più convincente.
Il Pdl — dice Quagliariello — dovrebbe rivendicare il ritorno al meridionalismo strategico e nazionale; rischia invece di far sua la logica del bassolinismo. E tuttavia, il ragionamento di Quagliariello non è privo di ombre. Intanto, come fa a mettere dalla stessa parte, dalla parte di una sinistra «positiva», sia Nicola Rossi sia Gianfranco Viesti? Cosa hanno in comune il Rossi che inchioda il ceto politico meridionale alle responsabilità degli sprechi nella spesa pubblica e il Viesti che invece lo assolve in nome di un governo pregiudizialmente antimeridionale? E poi, come fa Quagliariello a conciliare la sua battaglia contro il localismo con le cose dette anche da Tremonti sulla Banca del Sud? Il ministro, accogliendo una suggestione di Lombardo, secondo cui quella banca dovrebbe utilizzare il dialetto per meglio adeguarsi alla realtà, si è infatti affrettato ad assicurare che quella stessa banca non parlerà inglese.
È dunque così che la Banca del Sud sosterrà l’internazionalizzazione delle aziende meridionali? Infine, giusto l’argine al localismo. Ma qual è il rischio di una imminente Cassa per il Mezzogiorno? Come si concilierà il neocentralismo di questa Cassa con il federalismo prossimo venturo? Troppe contraddizioni. L’analisi di Quagliariello è dunque impeccabile, ma le proposte del suo partito ancora non sembrano andare in direzione di una alternanza vera nei metodi di governo e nei programmi. Il dubbio è che il nuovo centralismo si risolva in una desertificazione di tutti quei corpi intermedi necessari al governo di uno Stato unitario. E ancor di più al governo di un Mezzogiorno in deficit di sviluppo e civiltà.
05 agosto 2009
Tratto da: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/
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