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mercoledì 14 ottobre 2009

«Non è stato un mercenario» I pm riabilitano Quattrocchi



La Digos: gli 007 sapevano in anticipo del sequestro


GENOVA - È a un passo dall’archivia­zione l’inchiesta aperta a Genova nel 2004, dopo la morte di Fabrizio Quattroc­chi in Iraq, per arruolamento illegale al­l’estero. Il pubblico ministero Francesca Nanni ha chiesto l’archiviazione delle ac­cuse contro Paolo Simeone e la sua ex col­lega, Valeria Castellani, indagati in base al­l’articolo 288 del codice penale che appun­to punisce «l’arruolamento o l’armamen­to non autorizzato al servizio di Stato este­ro ». Paolo Simeone, ex lagunare e ex vo­lontario dell’organizzazione non governa­tiva Intersos, è l’uomo che avrebbe contat­tato per la missione in Iraq Fabrizio Quat­trocchi, poi ucciso dalle «Brigate Verdi». Ma il punto su cui la Procura ha cercato in questi anni di far luce non è il contatto tra Simeone e la squadra di Quattrocchi (ab­bastanza scontato), è invece la caratteristi­ca di quell’arruolamento: si può configu­rare come un’attività da mercenari?
Quattrocchi e gli altri tre italiani seque­strati il 12 aprile 2004 in Iraq, Maurizio Agliana, Salvatore Stefio e Umberto Cuper­tino, svolgevano, hanno affermato i super­stiti, attività di security: non azioni di guerra ma sicurezza personale. Non mer­cenari ma bodyguard. Il servizio, hanno detto, si svolgeva all’interno dell’albergo Babylon o come guardie del corpo nelle trasferte. Per definire i mercenari, soldati senza divisa al soldo di uno Stato estero, la legge italiana indica alcuni requisiti, co­me, ad esempio, quello di partecipare a «incursioni dirette a mutare l’ordine costi­tuzionale di un Paese». Il confine è quello fra la guerra, o la guerriglia, e la security.
La richiesta di archiviazione della Pro­cura genovese propende evidentemente per la seconda ipotesi. La decisione, ora, spetta al gip: può accogliere e archiviare come richiesto o rimandare al pm le carte. L’esito non è scontato. A Bari è in corso un processo contro Salvatore Stefio, rapi­to con Quattrocchi, e Giampiero Spinelli proprio in base all’articolo 288 del codice penale. La materia è controversa e soprat­tutto non esistono precedenti cui fare rife­rimento.
Le terribili circostanze della morte di Quattrocchi (che disse «Vi faccio vedere come muore un italiano» ai suoi carnefi­ci) sono destinate a far discutere ancora. Anche perché nelle carte della Procura di Genova è contenuto un documento che pone alcuni interrogativi. È un rapporto della Digos che documenta come due gior­ni prima del rapimento avvenuto il 12 aprile un agente del Sisde abbia telefona­to a un dirigente della Digos parlando di due genovesi rapiti in Iraq e chiedendo in­formazioni su Quattrocchi e Luigi Valle. Valle, amico di Quattrocchi, in quei giorni si trovava a Genova, circostanza che la Digos appurò subito. Nella telefonata del­l’agente dei servizi — avvenuta il 10 apri­le mentre il dirigente della Digos era di servizio allo stadio di Marassi — si faceva riferimento anche all’Isba, (Investigazio­ni, bonifica, servizi di sicurezza e allar­mi), una delle società con sede a Genova per cui aveva lavorato Quattrocchi. Diver­si elementi, non solo il nome di Quattroc­chi, ma anche della società Isba, vengono segnalati due giorni prima che il rapimen­to abbia luogo. Dopo il sequestro la Digos fa un rapporto sulla telefonata e la cosa ri­mane agli atti. La sera del 10 aprile la noti­zia che «un genovese» era stato sequestra­to in Iraq circolò confusamente nelle reda­zioni locali, senza trovare conferma. Un lancio dell’agenzia «Reute» aveva parlato di «quattro italiani» rapiti ma come il cer­chio si sia poi stretto sulla città di Genova e sul nome di Quattrocchi — che verrà ef­fettivamente sequestrato due giorni dopo e ucciso con un colpo di pistola alla testa — rimane un mistero.

Erika Dellacasa
14 ottobre 2009
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