Bocciata la norma che consente di adottare ordinanze come quelle anti-lucciole o anti accattonaggio. Maroni: «Questione formale, rimedieremo con una legge»
LE REAZIONI - Pdl e la Lega giudicano inaccettabile l'ennesima «picconatura» dei giudici dell'Alta Corte al pacchetto sicurezza. Assai critica la presa di posizione del vicesindaco e assessore alla Sicurezza di Milano, Riccardo De Corato, secondo il quale «i giudici stanno facendo il gioco dei dieci piccoli indiani. E, a furia di picconate, stanno abbattendo tutte le impalcature che sostengono il pacchetto sicurezza». Contrario alla decisione della Consulta anche il sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, che parla di «sentenza sbagliata». Una decisione che Giorgio Ciardi, delegato alla Sicurezza del sindaco Gianni Alemanno definisce come «uno schiaffo alla tutela del decoro e della legalità». «Il pronunciamento della Corte costituzionale sull'ampliamento del potere di ordinanza affidato ai sindaci contenuto nel pacchetto sicurezza del 2008 non lascia sorpresi» afferma invece Sergio Chiamparino, presidente della Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci). «Se governo e maggioranza avessero ascoltato per tempo l'avvertimento dell'opposizione - è la posizione del Pd espressa con Gianclaudio Bressa - avrebbero fatto risparmiare tempo alla Consulta e denaro agli italiani».
GLI ARTICOLI VIOLATI - A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tar del Veneto, cui si è rivolta l'associazione «Razzismo stop» contro l'ordinanza anti-accattonaggio del sindaco di Selvazzano Dentro. I giudici costituzionali hanno ritenuto violati gli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione che riguardano il principio di eguaglianza dei cittadini, la riserva di legge, il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative. Le ordinanze dei sindaci, così come previste dal pacchetto sicurezza - spiega la Corte Costituzionale - incidono «sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati». Ma - sottolineano i giudici della Consulta - «la Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità, richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge», così come previsto dall'art. 23 della Carta.
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